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Riceviamo e pubblichiamo questo intervento del presidente dell'Asd Circolo Nuoto Lucca che è un vero e proprio atto di accusa verso la politica che sta distruggendo lo sport:
Sono sempre Pietro Casali, presidente dell'ASD Circolo Nuoto Lucca, società dilettantistica che gestisce due piscine a Lucca, quella del ITIS Fermi e quella del palasport di via delle Tagliate. Sono a chiedere di nuovo spazio al vostro giornale - che ringrazio perché non ha paura di far sentire le voci fuori dal coro, voci che dissentono dai Ciceroni dell'opinione unica - per esternare dei timori che crescono in me, giorno dopo giorno. Tanto come presidente del Circolo Nuoto Lucca, tanto come libero professionista.
In questi giorni sta imperversando il dibattito sulla cosiddetta fase 2 dell'emergenza legata all'epidemia Covid-19. Mi pare che, per quanto riguarda molte attività e soprattutto per quanto riguarda lo sport dilettantistico, l'attuale vuoto – e per molti versi dittatoriale – governo Conte, nonché l'informazione di regime, abbiano davvero le idee poco chiare, se non deliberatamente errate.
Pensare, per un impianto sportivo, di riaprire durante, o subito prima, il periodo estivo, è quantomeno folle. Lo sport dilettantistico, con l'arrivo del mese di giugno pensa alla chiusura degli impianti e programma gli interventi manutentivi da fare durante questo periodo, in vista della riapertura settembrina. Se a questo si aggiunge che la riapertura dovrebbe essere vincolata ad una serie di gravose limitazioni – distanziamento sociale, controlli, scaglionamento degli ingressi ect. - atte ad eliminare il rischio legato all'epidemia Covid-19, ecco che il cerchio tremendamente si chiude. Non facciamo gli ipocriti: non si può e non si deve gestire in perdita, tanto le aziende come gli impianti sportivi. Ma i provvedimenti verso i quali sembra che tutte le attività siano – in tempi più o meno diversi e per durate più o meno diverse – destinate, farebbero risultare la gestione completamente antieconomica, e pure per cifre notevoli, di decine di migliaia di euro. Per non portare via troppo spazio, eviterei il dettaglio delle diverse motivazioni di queste perdite, anche perché molte di queste sono intuitive.
Non voglio fare il negazionista e neppure passare sopra la salute delle persone (per motivi di spazio lascio da parte le mie perplessità, condivise da molti, circa il fatto che la cura sia molto peggiore del male) ma a questo punto l'unica soluzione sarebbe quella di supportare con provvedimenti economici concreti – dei quali finora neppure si è vista l'ombra – lo sport dilettantistico in questa fase di riapertura, oppure rinviare la riapertura stessa a settembre, sperando che l'emergenza sia finita e che tutti possano permetterselo, oppure assistere alla sua morte, con forti ripercussioni anche sullo sport professionistico, al quale verrebbe tolta la base di atleti. Ovviamente si nasce come atleti dilettanti, si inizia facendo sport con le piccole società, non si nasce come campioni.
Mi pare di vedere che il governo – e se per questo anche le regioni - sia privo di un simile spunto e si limiti a sfornare decreti e ordinanze che contengono prescrizioni, che se applicate, come detto sopra, porterebbero al fallimento di molte attività in generale e dello sport dilettantistico in particolare. Vero, siamo in emergenza nazionale ma, mi permetto di ricordare come i vari governi, negli ultimi decenni – quando di emergenze non ve n'erano – abbiano deliberatamente massacrato le imprese private, i professionisti, il commercio e gli artigiani, sommergendo loro di burocrazia, di normative sulla sicurezza che fanno solo aumentare i costi ma sono controproducenti a quel fine, di normative sulla privacy che significano poco o nulla, - quando tante volte sono le stesse istituzioni a violarle ed adesso pensano addirittura ad applicazioni per tracciare gli spostamenti degli individui (zitti tutti, loro possono!) - di adempimenti e di strozzinaggio fiscale.
A questo punto sorge il sospetto che questa emergenza sia l'occasione per perseverare brutalmente nel gioco falloso. Riportando l'attenzione allo sport dilettantistico, posso affermare che il governo attuale, non so se per incompetenza o per deliberata crudeltà – ma poco cambia - abbia l'intenzione di penetrare nel sottocoda, e senza vasellina, i gestori degli impianti sportivi e di molte aziende. Ovviamente è mia ferma intenzione – e credo sia anche quella dei miei colleghi gestori – quella di provare fermamente a non concedermi.
Ogni settimana che passa, con l'Italia bloccata, il prodotto interno lordo perde lo 0,5% ed un terzo delle imprese rischia seriamente di non riaprire. Ed il governo Conte, che ha finora dimostrato di ascoltare solo i tecnocrati, i virologi che si preoccupano solo di apparire in televisione per pontificare, o il costosissimo esercito di task force, distante anniluce dalla quotidiana realtà, cosa sta progettando? Ricordando un poco di storia, come dall'ottobre del 1939 al marzo del 1940 ci fu la drole de guerre, ovvero la guerra per finta, sta progettando la drole de ouverture, ovvero l'apertura farsa, un'apertura piena zeppa di costi, adempimenti, limitazioni, distanziamento sociale, misure di controllo e burocrazia che sarà economicamente più conveniente continuare a stare chiusi, una finzione tanto per dare un contentino ai disperati e far fibrillare l'opinione pubblica di regime che gli tiene la mano. Ed ha dimostrato anche un comportamento dispotico, non certamente illuminato. D'altronde non credo che fra i tirapiedi del Primo Ministro ve ne sia uno che sappia chi era il Marchese di Pombal.
Per contatti: telefono 3355418197
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La pandemia ha scritto una nuova straziante pagina nella storia del mondo e continua a promettere esiti da “horror show”.
Torno a raccontarvi ancora una volta una storia che si inserisce nel solco dell’inimmaginabile e che affonda le proprie radici in un dolore immotivato.
Si tratta, nuovamente, di una vicenda difficile da riportare senza lasciare angoli deserti e sospesi.
Lo abbiamo già visto. In tempo di emergenza Coronavirus esistono dimore che ormai fungono da fondale, sommano lo strazio dell’inaccettabile all’assurdo dell’inconcepibile.
Questa volta siamo ad Albignano, un comune dell’hinterland milanese sfuggito fino ad oggi alle insidie della cronaca. Le lancette del tempo sembrano essere portate indietro sull’onda di stereotipi ancestrali, ancorate a schemi comportamentali di un vecchio film di Pietro Germi.
Ma ad Albignano è la notte tra il 18 ed il 19 aprile 2020.
Una sera apparentemente come tante, di quelle che trascorriamo in tempo di quarantena. Un’ennesima che ci dà conferma di come dalla Cina abbiamo imparato a tutelarci dal Covid-19, ma non a contrastare la violenza domestica.
Lui è Antonio Vena, ha 47 anni e questa notte ha ucciso a colpi di un fucile a pompa calibro 12 la compagna Alessandra Cità.
I due condividevano radici siciliane e si erano ritrovati a Milano, dove avevano iniziato una relazione che durava da nove anni. Nonostante lui lavorasse a Bressanone, in Alto Adige, in questa situazione emergenziale era stato ospitato dalla donna nella abitazione del milanese. Scelta che le si è rivelata fatale.
“L’ho uccisa perché voleva lasciarmi”, così questa notte le parole di Antonio Vena mentre si costituiva presso la caserma dei Carabinieri di Cassano d’Adda.
Ancora una volta il virus non ha avuto bisogno di bussare ad una porta per mietere vittime, ma si è palesato all’interno delle mura domestiche. Ennesimo effetto domino. Ennesima conferma che la violenza domestica, come il Covid-19, è un morbo culturale, pandemico e letale capace di infettare luoghi, menti e corpi.
L’emergenza non è solo in corsia, ma anche fuori. Non so se il messaggio che ho voluto inviare è stato compreso. Il mio è un argomentato ragionamento dal quale, però, non è possibile esimersi.
Nella foto: la criminologa Anna Vagli