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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento del collega Guccione sulla situazione della scuola e l'emergenza che non è solo attuale, ma, purtroppo, ricorrente:
La penosa, estenuante tuttavia necessaria "didattica a distanza", è finita. Almeno per qualche mese, in attesa di ritornare alla "didattica umana", quella cioè in presenza nelle classi, potremo tenere spenti tablet, pc portatili, telefonini che tanto hanno fatto tribolare le famiglie e soprattutto hanno reso palese una condizione: quella della diseguaglianza tra chi aveva a disposizione un mezzo tecnologico e chi no. Chissà nell'Italia a più velocità (o a variegate lentezze) questo fenomeno come si è mostrato. Ne abbiamo già una lucida testimonianza nella civilissima Firenze dove "in una scuola primaria di via Palazzuolo, sono stati penalizzati gli alunni privi di computer che non disponevano dei giga necessari a lunghi collegamenti e non avevano con sé i libri di testo, rimasti nell'edificio scolastico e non recuperabili" (Gaspare Polizzi, Il Corriere Fiorentino, 11 giugno 2020).
La situazione creatasi e gestita per la prima volta con la solennità dell'emergenza, ha fatto emergere una scuola che ha reagito come ha potuto: da una parte i molti insegnanti che si sono "formati sul campo" e che con senso di responsabilità hanno dato tutto ciò che potevano, altri che - come nel caso della scuola fiorentina ma temo non soltanto lì - hanno reagito attraverso una sorta di minimo sindacale. La scuola in sé ha fatto emergere i tanti limiti, limiti che gli stessi operatori della scuola rimarcano da decenni. Non siamo di fronte a un'emergenza che si inserisce in un quadro normale, ma di un'emergenza che si somma alle carenze strutturali del mondo della scuola: carenza di docenti, edifici scolastici inadeguati e/o pericolosi, riforme rimaneggiate troppe volte al volgere delle legislature.
Chi non ricorda il primo "metodo" di didattica a distanza? Fu quello del celebre Maestro Alberto Manzi che, attraverso la televisione, riuscì ad entrare in molte case (le case di chi possedeva il piccolo schermo, anche se si crearono situazioni di mutuo-aiuto) e ad innalzare il livello di istruzione di tante persone: questo fu il primo esempio di "didattica a distanza".
Quella che abbiamo vissuto (e che potrebbe ripetersi) deve essere invece considerata come una "didattica di emergenza", così come viene ben spiegato in un suo scritto dalla professoressa Antonella Fancello, docente di pratiche digitali per l'empowerment dei cittadini all'università di Sassari. Usciamo tutti un po' frastornati da quanto abbiamo dovuto sostenere: il mondo della scuola in primis e il mondo delle famiglie; soprattutto rimaniamo preoccupati per il futuro dei bambini/ragazzi che hanno visto conculcato il diritto allo studio in presenza, a causa di un'emergenza così estesa e insidiosa. A loro deve andare ogni sforzo da parte del ministero dell'istruzione (e già la fiducia si assottiglia) affinché a settembre possano riprendere in mano la loro avventura formativa, guardando negli occhi i propri compagni e gli insegnanti: anche quelli che durante la pandemia hanno dato meno di quello che avrebbero potuto dare. Come recitava il motto della trasmissione del maestro Manzi, "non è mai troppo tardi", anche per loro.
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Riceviamo e pubblichiamo questo appello di Liberiamo l'Italia - Comitato Territoriale Lucchese, sulla necessità di riapertura delle scuole a settembre, rivolto ai sindaci affinché si facciano interpreti e promotori di questa richiesta, che ha animato nelle ultime settimane le manifestazioni spontanee promosse da genitori, studenti e insegnanti.
"Liberiamo l'Italia sabato 9 maggio ha manifestato in piazza Napoleone a Lucca, denunciando i vulnus inferti alla vita democratica e sociale del paese dalle misure sul distanziamento sociale, collegate all'emergenza pandemica. Tra i temi sollevati in quell'occasione la chiusura delle scuole e la limitazione del diritto allo studio hanno rivestito un ruolo centrale.
Senza negare la gravità del pericolo epidemico, amplificata dalle condizioni critiche in cui versava il sistema sanitario pubblico minato da decenni di tagli al welfare, dobbiamo rilevare che la comparsa del covid-19 ha impresso un'ulteriore spinta ai processi di disgregazione sociale già in atto da decenni.
L'accelerazione verso la sostituzione della didattica a distanza alle lezioni in presenza si colloca su questa falsariga, in perfetta continuità con le tendenze già in atto da tempo.
Negli ultimi giorni, gruppi di genitori e insegnanti hanno dato luogo a manifestazioni spontanee contro la prosecuzione delle modalità d'insegnamento a distanza e, come Liberiamo l'Italia, diamo pieno sostegno alle rivendicazioni avanzate.
Non possiamo non rilevare come le dichiarazioni ondivaghe del ministro Azzolina, unitamente ai proclami del presidente Conte, quasi mai accompagnati da una programmazione seria che colleghi un piano d'investimenti al reperimento delle risorse, contribuiscano ad alimentare il sospetto che manchi una reale volontà politica tesa a garantire il rientro a scuola degli studenti.
L'assenza di una programmazione di medio-lungo termine che metta fine alla condizione di precarietà strutturale in cui versa complessivamente il sistema pubblico è stata una costante degli ultimi vent'anni e l'attuale governo non sembra avere né la determinazione, né le competenze necessarie per trovare una soluzione credibile.
Per garantire la ripresa della normale attività scolastica, sarebbero necessari investimenti straordinari volti alla stabilizzazione degli insegnati precari e all'assunzione di nuovi docenti in pianta stabile; servirebbe inoltre un piano serio di efficientamento e recupero degli immobili da destinare all'attività didattica, mentre ancora niente sappiamo sugli stanziamenti dedicati all'edilizia scolastica.
L'investimento di risorse pubbliche statali ed europee è univocamente rivolto al potenziamento delle infrastrutture informatiche. Va rilevato l'aspetto autoritario insito nelle politiche comunitarie, rappresentato dalla destinazione vincolata di ingenti risorse a progetti d'implementazione della didattica digitale, che prescindono da qualsiasi discrezionalità di utilizzo alternativo in funzione dei problemi specifici che i paesi si trovano a fronteggiare. Ciò determina un impiego disfunzionale del denaro pubblico, lasciando irrisolti i reali deficit strutturali che di fatto limitano il diritto allo studio. Gli stessi programmi scolastici sembrano sempre più orientati alla progressiva sostituzione dei metodi tradizionali di apprendimento con nuove modalità che fanno ampio ricorso agli strumenti tecnologici fin dalla più tenera età.
Stando all'ormai nutrita letteratura specialistica, i rischi collegati alla preponderanza spiccata di queste nuove forme di apprendimento sembrano connettersi all'aumento delle difficoltà relazionali ed emotive e ai deficit della capacità attentiva, che si riscontrano nelle nuove generazioni.
Inoltre, l'utilizzo spinto della didattica a distanza sperimentato durante il lockdown ha mostrato tutti i limiti insiti in questo modello, in termini di drastico ridimensionamento del ruolo di inclusività e di livellamento degli svantaggi sociali, perseguibile solo con la compresenza e la reciproca frequentazione di studenti ed insegnanti. Le situazioni di marginalità sociale e di svantaggio economico escono decisamente esacerbate da un approccio che prescinde dalla presenza fisica. In un contesto già estremamente carente sul piano dei servizi pubblici all'infanzia e all'adolescenza come quello italiano, molti ragazzi, privati della presenza dell'insegnante e relegati al proprio domicilio, si trovano a dipendere totalmente dall'assistenza dei genitori, che non sempre, per ragioni sociali e lavorative, possono svolgere adeguatamente questo compito.
Per tutte queste motivazioni, ci troviamo a condividere in toto le richieste avanzate da genitori ed insegnanti, circa il pieno ripristino della normale attività didattica con l'inizio del nuovo anno scolastico; a tal fine, non bastano generici proclami; si deve cominciare fin da subito ad elaborare un piano che traduca sui territori le iniziative necessarie a rendere concrete le formali dichiarazioni d'intenti. Su questo punto, chiediamo ai sindaci, come rappresentanti degli interessi della cittadinanza, di unirsi alla battaglia per l'effettiva riapertura delle scuole a settembre. Spiace constatare che per ora la loro voce si è sentita poco".