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Scritto da Luciano Luciani
StoricaMente
21 Ottobre 2025

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Furono esattamente 1776 i soldati italiani che, in Albania, all'indomani dell'8 settembre '43, abbandonati dai comandi, privi di mezzi e incalzati dai nazisti, scelsero di non arrendersi e di tenere viva la fiaccola della dignità nazionale partecipando alla lotta di liberazione del popolo albanese. Da militari di un esercito invasore si fecero partigiani, mettendosi con umiltà, lungimiranza e coraggio al servizio di quel popolo che, solo fino al giorno prima, avevano contribuito ad opprimere. I fanti e gli artiglieri italiani, nella stragrande maggioranza dei casi soldati semplici e per la gran parte – ma non solo – toscani, fornirono così uno straordinario esempio di solidarietà internazionalista: tanto più degno di essere ricordato, per quanto poco è conosciuto e valorizzato nel nostro Paese. 

La partecipazione di queste centinaia di connazionali in divisa alla lotta di liberazione del popolo albanese smentisce poi recisamente un luogo comune diffuso e, purtroppo, accettato: quello per cui i soldati italiani all'estero, colti di sorpresa dall'8 settembre, non avrebbero saputo battersi e sarebbero stati capaci solo di un confuso e disordinato "tutti a casa". Saranno proprio loro i protagonisti della epopea del Battaglione – poi Brigata – intitolato significativamente ad Antonio Gramsci che lottò, con intelligenza e valore, sui monti del paese balcanico, per contribuire in maniera decisiva alla battaglia per la liberazione di Tirana dai nazifascisti nell'autunno di 81 anni or sono (novembre 1944).

Pochi ma buoni, dunque? No, perché c'è anche un modo "estensivo", "largo" di leggere la resistenza dei militari italiani in Albania. Quello che attribuisce un ruolo positivo, anche se più modesto, di opposizione allo strapotere tedesco pure a quanti, senza aderire alla lotta armata – spesso per motivi non dipendenti dalla loro volontà – rimasero sbandati per lunghi mesi in terra straniera condividendo i pesantissimi sacrifici imposti alle popolazioni civili e resistendo alla tentazione della resa e alle lusinghe dei tedeschi e dei collaborazionisti. In base a questo criterio più ampio si può far ascendere a circa 15.000 il numero di "quelli che non si arresero" e che svolsero compiti in qualche modo utili alla lotta di liberazione nei Balcani. 

 

Dieci lucchesi

Foltissima la presenza dei toscani in questa nutrita pattuglia di combattenti per la libertà sotto la bandiera rossa con l'aquila nera albanese: tra questi dieci lucchesi. I loro nomi?

 

Barsanti Antonio, Ghivizzano, 1921

Bertini Ernesto, Loppeglia, 1923

Bertocchini Dario, Lucca, 1921

Bulgarelli Giuseppe, Fornaci di Barga, 1919

Fortini Pietro, Vagli, 1912

Galli Renato, Lucca, 1917

Leonardi Ilio, Seravezza, 1911

Parrini Adolfo, Ruota, 1918

Quartaroli Gino, Porcari, 1923

Sebastiani Alfredo, Lucca, 1920

 

Alfredo Sebastiani

L'ultimo dell'elenco, Alfredo Sebastiani, furiere del Battaglione Gramsci, è anche l'autore di un bellissimo diario delle imprese degli italiani inquadrati nei ranghi dell'Esercito di Liberazione Nazionale Albanese.

Lucchese di "drento le mura", Sebastiani nei giorni immediatamente successivi all'8 settembre seppe istintivamente schierarsi dalla parte giusta e pagò con la vita questa sua scelta: morì, infatti, tragicamente due giorni dopo la liberazione di Tirana, vittima di un'arma subdola, del cibo avvelenato lasciato con l'obiettivo d'uccidere dai nazisti in fuga.

Lo Stato albanese ha riconosciuto la partigiano Alfredo Sebastiani due alte onorificenze: URDARIN E TRIMERISE, perché "ha combattuto con coraggio nelle file dell'Esercito di Liberazione Nazionale Albanese, è stato esempio di resistenza e di abnegazione donando anche la vita in lotta contro gli occupanti nazifascisti per la liberazione dell'Albania", e YLLI  PARTIZAN TE KLESIT, in quanto "si è distinto per l'audacia e per il coraggio dimostrato combattendo nelle file dei reparti partigiani durante la lotta di Liberazione Nazionale del popolo albanese contro gli occupanti nazifascisti finché diede anche la vita".

Così ha scritto di lui il commissario politico di allora, il fiorentino Bruno Brunetti, in un suo commosso Ricordo di Alfredo, "ultimo partigiano caduto in Albania per la malasorte di un destino infame, il giorno stesso in cui avrebbe potuto assaporare la gioia della grande vittoria, dopo dieci duri mesi di lotta accanita al nazifascismo.

I compagni di lotta italiani e albanesi gli resero le onoranze militari che meritava: si professava cattolico e credente e il cappellano militare don V. Silo officiò il rito funebre. Una folla di connazionali, militari, civili e amici albanesi lo accompagnò all'ultima dimora".

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