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Atletica, pioggia di medaglie per la Virtus Lucca ai campionati toscani giovanili
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Bike Academy Marchini Costruzioni, impatto positivo con la strada al Giro dell'Albania
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Vikki Jayne Todd, terzo argento consecutivo ai campionati italiani di Taekwondo - Forme cinture nere
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Basketball Club Luca e Chiesina Basket, insieme per progettare il futuro del basket.
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Pugilistica Lucchese: Miria Rossetti Busa è campionessa toscana élite, Mencaroni in nazionale, Fulvetti ai campionati italiani
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Battezzata la Nove Nove Nove Gran Tuscany Grand Rando, portata a termine da Paolo Bianchini in 68 ore e 30 minuti
Tempo di randonnée e di Paolo Bianchini lo specialista montemagnese che dal 2012 si cimenta sulle distanze estreme sfidando limiti fisici e mentali, in ambienti a volte pericolosi pedalando per giorni interi sotto il sole e nella notte

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Tormentato da problemi fisici, Giovan Battista Baronchelli, Gibì per i tifosi e Tista per gli amici, ha raccolto in 16 anni di professionismo meno di quanto meritasse anche se 90 vittorie non sono poche se consideriamo che per ottenerle si è dovuto fare spazio nelle generazioni di Eddy Merckx prima e di Bernard Hinault dopo, segnate da campioni fra i più grandi di tutti i tempi.
Eppure a di stanza di 31 anni dal suo ritiro dall'attività agonistica, viene ricordato anche nelle sconfitte, in particolare due che sono rimaste nella storia del ciclismo: quella del Giro d'Italia del 1974 quando nel suo primo anno da professionista terminò al secondo posto preceduto soltanto di 12 secondi da Eddy Merckx e quella del mondiale di Sallanches nel 1980, quando fu l'ultimo a mollare la ruota di Bernard Hinault.
A volte si dice le sconfitte aiutano a crescere e a migliorare ma questo non è stato il caso di Baronchelli, molto di più è il suo rammarico per aver dato al ciclismo più di quello che ha ricevuto.
"Non sono riuscito - dice Gibì - a gestire i limiti mentali, i miei aspetti emotivi, quelli che stimolano la capacità motoria. Al Giro del '74 avevo fiducia della mia forza, non temevo nessuno, nemmeno Merckx che era il mio idolo e l'atleta al quale mi ero sempre ispirato. L'anno prima da dilettante vinsi Giro d'Italia e Tour de l'Avenir . Pensavo di riconfermarmi anche da professionista. La 20.a tappa da Pordenone alle Tre Cime di Lavaredo fu decisiva. Nei pressi di Misurina attaccai inerpicandomi nel tappone dolomitico all'inseguimento dello scalatore spagnolo José Manuel Fuente che però era attardato in classifica di molti minuti. Io cercavo di guadagnare il più possibile su Merckx che vide in bilico il suo primato in classifica. Purtroppo in Alta Pusteria verso la Valle del Landro la forza fisica non mi fu sufficiente per ricucire l'intero distacco dal campione belga. Avevo 21 anni. Attaccavo di istinto, ma senza essere consigliato bene. Se avessi sferrato l'attacco più tardi probabilmente avrei tenuto anche un ritmo più costante guadagnando più secondi. La psicologia nello sport è importante. All'arrivo Merckx conservò 12 secondi di vantaggio su di me e 33 su Gimondi. Il Giro per la prima volta ebbe distacchi così lievi dal vincitore ai piazzati. Sicuramente una vittoria avrebbe dato una svolta alla mia carriera professionistica. A Sallanches nell'80 invece successe il contrario. Detti tutto quello che avevo dentro per stare attaccato al miglior Hinault di sempre. Quel giorno scatenò la sua aggressività in salita come non aveva mai fatto prima. Il mondiale ancora mancava alla sua straordinaria carriera dopo aver vinto tutto ed aveva una determinazione impressionante. Nel circuito durissimo ad ogni giro faceva selezione, io non potevo far altro che stargli a ruota fino a quando ad un giro e mezzo dal termine ho ceduto. Negli ultimi chilometri il mio distacco aumentò anche per il salto della catena e giunsi secondo con un ritardo di 1'01". Terzo fu lo spagnolo Fernàndez con un ritardo di 4'25". I distacchi fra Hinault e gli altri che finirono la corsa furono abissali."
LE SUE VITTORIE PIU' IMPORTANTI
Il bilancio dell'atleta mantovano di Ceresara con il Giro d'Italia è stato buono anche se sotto il profilo dei risultati meritava di vincere almeno una edizione. Ed invece è stato il terzo atleta della storia più volte piazzato nei primi dieci. Al primo posto in questa speciale classifica c'è Gino Bartali con 13 edizioni, seguito da Felice Gimondi con 12 e Baronchelli che è terzo con 10, cinque invece le tappe vinte. Fra i suoi successi più importanti 2 giri di Lombardia, 6 Giri dell'Appennino vinti consecutivamente, Tour di Romandie, Trofeo Baracchi, 1 G.P.di Francoforte, Giro dei Paesi Baschi, Giro del Piemonte.
"Ogni gara - risponde - era importante. Le corse erano più lunghe di oggi e nel calendario italiano c'erano molte classiche partecipate dai più forti corridori stranieri quasi tutti tesserati per squadre italiane. Ho vinto almeno una volta le classiche inserite nel calendario nazionale. Purtroppo una caduta in un circuito a Leffe mi dette gravi conseguenze. Mi ruppi l'omero ed avevo l'osso dell'avambraccio fuori posto. Ho subito tre interventi chirurgici ma non sono più stato come prima ed in salita ogni tanto accusavo dolori, come nello Stelvio che decise a favore di Bertoglio il Giro d'Italia del '75".
Lei e Moser non vi guardavate mai in faccia e se lo facevate era soltanto per litigare. Quanto c'è di vero?
"E' tutto vero - risponde prontamente - fra noi non c'era simpatia, ma è difficile che ci sia quando si è acerrimi rivali. Comunque è stato un campione anche se soffriva un po' in salita. Quando lui e Saronni erano in auge anche i giri d'Italia li facevano su misura per loro. Ecco perché ad un certo punto preferivo prepararmi per le classiche anziché per Giri troppo soavi per le mie caratteristiche. Ero un atleta che si esaltava sulle gare dure ed impegnative."
Un altro suo disappunto fu al Giro del '78 vinto dal belga Joan De Muynck. Anche in quella occasione fu secondo. "Il '78 fu il mio ultimo anno alla Scic, prima di passare alla Magniflex e successivamente alla Bianchi. Dovevo fare il gregario a Saronni che in una tappa rimase attardato per un incidente. Dall'ammiraglia ci fu detto di aspettarlo. Giungemmo sul traguardo con un ritardo dalla maglia rosa di un minuto. Persi il Giro per 59 secondi, quindi fate voi il conto...".
BARONCHELLI: "MERCKX E HINAULT I DUE VERI FUORICLASSE"
Lei Gibì poteva vincere di più se non avesse trovato sulla sua strada grandi atleti e fuoriclasse che hanno entusiasmato generazioni intere da Merckx a Gimondi, a Hinault e da Moser a Saronni. Non crede?
"Gli unici veri fuoriclasse erano Merckx e Hinault che sapevano vincere ovunque. Gimondi è vero che ha vinto tutto, però era un corridore astuto e intelligente, sapeva studiare gli avversari. Non si possono fare i confronti ma campioni così fanno sicuramente parte della storia dei più grandi di sempre".
CON FANINI LA VISITA DAL PAPA E LA SUA ULTIMA VITTORIA NEL 1988
L'atleta che staccò Eddy Merckx e che fece soffrire Hinault fino all'ultimo giro nel mondiale di Sallanches ha corso 16 anni da professionista e ha fatto sognare una generazione di tifosi. Verso il finale di carriera Gibì riuscì a vincere il secondo Giro di Lombardia nel 1986 a distanza di nove anni dal suo primo successo. A 33 anni quando più nessuno ci sperava staccò tutti nel finale evitando di perdere la volata contro l'irlandese Kelly.
"Un grande campione - dice di lui Ivano Fanini attuale patron di Amore & Vita-Prodir - non uno scalatore puro perché lui non vuole definirsi così, ma grande fondista capace di tenere ritmi infernali. Prima dell'onore che mi dette correndo una stagione con la Pepsi Fanini sul finale di carriera, lo avevo sempre giudicato come uno fra i più grandi corridori di sempre che non ha raccolto quello che meritava. Davano forti emozioni le sue vittorie, perché generalmente staccava tutti arrivando da solo al traguardo, come erano capaci di fare soltanto i grandi. Nessuno in salita è più riuscito a dare spettacolo come lui nel Giro dell'Appennino e nelle grandi tappe dolomitiche, eccetto il mitico Pantani".
Nella Pepsi Fanini del 1988 c'era D.S. Giuseppe Lanzoni. Un direttore sportivo alle prime esperienze con sei anni meno del suo illustre corridore. Ecco cosa ricorda di lui: "Lo ammiravo già quando correvo da dilettante e lui era passato da poco professionista. A Baronchelli non c'era niente da insegnare ed anzi sono orgoglioso di averlo avuto nella mia squadra. Io cercavo soltanto di metterlo a suo agio per non fargli mancare niente. Per il resto notavo un professionista esemplare e la sua serietà con le sue impostazioni mi sono servite per poi trasmetterle alle mie squadre. Ricordo la cronoscalata che vinse al San Luca e mi dispiaceva vedere che aveva perso l'autostima. Un vero peccato perché era un atleta straordinario sotto tutti i punti di vista".
La sua ultima vittoria fu nella cronoscalata da Bologna a San Luca, aveva 36 anni, dove dette l'ultimo saggio della sua classe facendo gioire per l'ultima volta i suoi ancora numerosi tifosi. Lo fece in maglia Fanini, un altro nome ricorrente in quasi quaranta anni di storia professionistica. Nel biennio 88-89 Fanini portò al successo con due squadre diverse tanti campioni che mise a suo agio per sparare le ultime cartucce.
Così si è espresso Gibì a La Gazzetta di Lucca: "Conoscevo Ivano Fanini e con lui vinsi l'ultima corsa sul San Luca. Era ed è ancora un personaggio focoso che ti tiene sempre sulla corda con grandi incoraggiamenti. Un grande appassionato di ciclismo ed è per questo che è ancora sulla breccia. Di quel 1988 ricordo con piacere anche la visita annuale in Vaticano dal Papa. Che emozione trovarsi al cospetto di Papa Giovanni Paolo II. Fanini mi dette un trofeo vinto dalla squadra da consegnargli in ricordo di quell'incontro".
Dalle sue parole una testimonianza intrisa di gioia e di emozione... A 37 anni Gibì attaccò la bicicletta al chiodo ed assieme al fratello Gaetano, pure lui ex corridore professionista dal '74 all'81 e dall'85 all'86, aprì un negozio di biciclette ad Arzago d'Adda in provincia di Bergamo dove i due fratelli hanno vissuto per decenni, per tenersi ancora in contatto con gli appassionati di ciclismo. Un negozio poi chiuso nell'autunno dello scorso anno per godersi la meritata pensione.
Gibì, 67 anni, è sposato da 33 anni con Stefania e ha tre figli: Arianna di 33 anni, Ilaria di 30 e Davide di 19. Giovan Battista Baronchelli, un professionista pacato, taciturno ma diventava un fiume in piena se interrogato, un nome accostato ai grandi del ciclismo internazionale. La sua vita e le sue storie sono raccolte in un libro dal titolo "Gibì Baronchelli dodici secondi" scritto da Giancarlo Iannella con prefazione di Marco Pastonesi pubblicato nel mese di febbraio del 2018.
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Giorgio Vannucci, 90 anni, rappresenta con brillantezza demografica la longevità fisica e mentale di un uomo al quale non pesa l'età nemmeno nella lucentezza di ricordare esperienze di vita trascorse da direttore sportivo sull'ammiraglia. Diventò famoso per aver dato il via alla carriera professionistica di Francesco Moser, uno fra i più grandi campioni di ogni epoca, ma anche per aver contribuito dall'89 a dare il via alla lunga serie di vittorie delle squadre di Ivano Fanini, che Vannucci scelse dopo che Moser era uno di primi corridori al mondo e non aveva più bisogno dei suoi consigli, tanto che nell'84 si separò da lui " Ho sempre cercato di conferire ai miei atleti-dice- i veri valori dello sport perchè alla base di tutto c'è il fair play, un codice di comportamento che metto sempre come priorità per il rispetto delle regole di ognuno ma soprattutto nei rapporti con gli altri". Lei Vannucci è considerato il vero scopritore di Moser. Ci vuole raccontare come iniziarono i suoi lunghi rapporti con il campione di Palù di Giovo? " In una corsa in Lunigiana-risponde prontamente-nel 1970 quando lavoravo per il Bottegone Mobiexport di Pistoia, un mio collaboratore Luigi Cecchi conosciuto negli ambienti ciclistici con il soprannome "tarpone" mi si avvicinò indicandomi un ragazzo che andava fortissimo. Mi misi a guardarlo ed era uno spettacolo. Correva per il Montecorona di Palù di Giovo. Gli chiesi: ci verresti a correre con noi? Lui rispose: devi dirlo ad Aldo( suo fratello più grande ndr). Il giorno dopo sul Lago di Garda il presidente del Bottegone Sandrino Fedi sostenuto dal suo stretto collaboratore Renzo Bardelli( ex sindaco di Pistoia) si assicurò la sua firma con un ingaggio oneroso di 50 mila lire mensili in più rispetto alla pretesa di Aldo Moser. In Lunigiana vinse la corsa Walter Riccomi che fu da dilettante acerrimo rivale di Francesco Moser. Ma da quel momento prese il via la grande carriera di un campione che in un decennio vinse tutto a livello mondiale. Io al Bottegone in quegli anni avevo l'incarico di Assistent Ploegleider prima di acquisire il patentino ed iniziare ad allenare. Moser, inutile nasconderlo, è stata la mia più grande scoperta ed il corridore che rese famoso anche me con le sue vittorie. Nei rapporti personali nel tempo è diventato come un figlio. Anche pochi giorni fa ci siamo sentiti telefonicamente". Moser passò professionista a suon di vittorie nel 73 alla Filotex diretta da Waldemaro Bartolozzi affiancato da Aldo Moser e poi ritrovò Vannucci nel 75 da assistente ploegleider, prima di divenirne suo D.S. nell'83 fino all'84. Si può però dire che quasi l'intera carriera professionistica di Moser che con 273 vittorie è il terzo più vittorioso al mondo di sempre preceduto soltanto da Eddy Merckx e Rick Van Looy, si è avvalsa di Giorgio Vannucci come uomo di fiducia perchè gli generava sicurezza e coraggio e poi la sapeva capire e gestire. Il massaggiatore di Moser è stato per anni il lucchese Piero Pieroni, per un anno anche D.S. delle squadre Fanini.
NELL'89 DOPO MOSER SCEGLIE IVANO FANINI
Dopo innumerevoli successi con le squadre di Moser a Giorgio Vannucci non dispiaceva l'idea di far sviluppare le motivazioni a corridori nella media monitorando i loro progressi e insegnando a trarre lezioni dalle sconfitte, visto che fino allora aveva soltanto dato suggerimenti ad un fuoriclasse abituato alle più grandi vittorie. Andò a fare il D.S. all'Ariostea Benotto, Ariostea Oece, poi alla Gis Gelati allenando anche Silvano Contini e Miro Panizza poi al G.P. di Camaiore fu avvicinato da Ivano Fanini che gli propose la sua squadra. Fu amore a prima vista. " Di Fanini apprezzavo i suoi intendimenti ciclistici-dice il tecnico pistoiese- la sua passione ma anche la personalità che aveva nel gestire con piccole risorse le sue squadre. Sapevo di andare incontro ad un assemblaggio più faticoso ma sicuramente più intrigante." Di controparte per Fanini si avverava un sogno: aveva conquistato la fiducia del D.S., di colui che aveva diretto e lanciato il più grande corridore del mondo nelle classiche degli anni 70 dopo il ritiro di Merckx. " Appena ebbi la certezza-dice l'attuale patron di Amore & Vita-Prodir- oltre ad esserne onorato non rinnovai il contratto a Mauro Battaglini, per fare spazio a Giorgio Vannucci. Ha allenato le mie squadre dall'89 al 93. Cinque anni meravigliosi, costellati da tanti successi alla guida della Polli Mobiexport Fanini, di Amore & Vita Fanini per finire con Amore & Vita-Galatron. Abbiamo messo il nostro nome nell'albo d'oro di diverse classiche italiane". Anni nei quali Fanini dominava la pista ed il ciclocross vincendo ripetutamente titoli mondiali e nazionali rispettivamente con Claudio Golinelli e Walter Brugna (pista) e Fabrizio Margon (tripletta tricolore nel ciclocross), ma con Vannucci alla guida si impose anche su strada. Vannucci portò al successo Pierino Gavazzi nel Trofeo Laigueglia e nel GP Industria e Commercio di Prato; Roberto Pelliconi che fece suo il Trofeo Matteotti oltre a vincere tre tappe al Sun Tour in Australia. La squadra di Fanini si impose nel 90 anche al Giro d'Italia vincendo una tappa con Fabrizio Convalle. Altri corridori che trovarono la vittoria furono Stefano Della Santa,Alessio Di Basco che vinse anche una tappa al Giro della Svizzera, lo svizzero Bruno Risi e soprattutto Giuseppe Calcaterra che nel 93 si impose al Giro dell'Appennino e in una tappa e classifica finale al Giro di Puglia. Di quest'ultimo il saggio D.S. ha un ricordo particolare: " Ero a correre con la squadra il Giro della Svizzera, quando l'amico Franco Mealli mi telefonò per invitarmi al Giro della Puglia. La sua insistenza fu tale che mi feci sostituire dal mio vice Giuseppe Lanzoni per accontentarlo. Portai alcuni corridori in Puglia e vinsi tappa e classifica finale con Giuseppe Calcaterra. Ecco, questi sono successi che ti ripagano di tanto impegno e che ti fanno capire di aver contribuito con il tuo lavoro ad alzare il bilancio di una squadra"
" DOPO MERCKX, I PIU' GRANDI SONO STATI HINAULT E MOSER. POI L'AVVENTO DI CIPOLLINI..."
Immediatamente prima della sua parentesi importante con le squadre Fanini, Giorgio Vannucci fu al centro di una trattativa che portò Mario Cipollini a correre per il Bottegone-Mobiexport Fanini. Aveva l'incarico di super revisore della squadra di Pistoia che, in attesa di passare a dirigere la Fanini , lo volle di nuovo a collaborare. Un contratto legava Cipollini a Fanini che quindi era proprietario del suo cartellino. Fu trovato l'accordo del prestito al Bottegone Mobiexport per la gioia dello sponsor gestito dai compianti Lando e Carla Cappellini ed il D.S. Daniele Tortori chiese consigli al maestro pistoiese su come allenare l'astro nascente del ciclismo. Era il 1988, l'ultimo anno da professionista di Moser con la Chateau d'Ax prima di appendere la bicicletta al chiodo. Mario Cipollini l'anno successivo passava professionista alla Del Tongo ereditandone lo scettro, perchè divenne l'atleta più importante e più vittorioso del ciclismo italiano, rimanendo nella storia come uno fra i più forti velocisti di ogni epoca. Giorgio Vannucci chiuse definitivamente la sua carriera professionistica a 67 anni da Assistente Ploegleider con la Ros Mary & Co Minotti Italia di Marino Basso. Chiudiamo questo piacevole incontro ricordando due aneddoti che ha scolpiti nella sua mente: uno piacevole, l'altro meno. " Bernard Hinault a volte mi si avvicinava in corsa chiedendomi consigli sui rapporti da usare in salita. Fra noi c'è sempre stato un reciproco rispetto- conclude uno degli ultimi maestri di ciclismo- ed anche la sua rivalità con Francesco Moser è sempre stata leale e di stima reciproca. La nota dolente invece fu quando Moser perse un Giro d'Italia per un paio di occhiali. Era il 1979 quando li notò sul cruscotto della mia ammiraglia lasciati da un corridore. Li indossò procurandosi una fastidiosa congiuntivite. L'infiammazione dello strato mucoso lo penalizzò limitandone il rendimento nell'intero Giro, altrimenti lo avrebbe vinto lui. Lo perse per poco più di due soli minuti. Mi fa piacere ricordare tante curiosità ma soprattutto aver lavorato nel ciclismo in un'epoca di grandi campioni e di fuoriclasse i cui nomi saranno per sempre ricordati ". Un tecnico che è riuscito a coltivare la sua passione per il ciclismo trasmettendone la sua competenza . Da tanti anni si gode la pensione continuando a vivere nella sua città natale alle porte del centro storico di Pistoia assieme a Dina, la sua amata compagna.