La precarietà: forse mai come in questo tempo siamo stati costretti a fare i conti con questa condizione in modo così forte, quasi prepotente. I nostri hobby, le nostre consolidate abitudini, il nostro lavoro e, purtroppo, in molti casi la vita stessa ci appaiono oggi meno sicure di quanto lo fossero prima del COVID. Viviamo in un tempo nel quale molti ambiti della nostra vita hanno perso la loro apparente certezza. L'organizzazione delle nostre giornate, che con tanta fatica avevamo grosso modo definito, è venuta meno, l'incerto e il disorientamento stanno erodendo le nostre stabilità.
La vita di ciascuno di noi, in condizioni "normali", è scandita da azioni che spesso si ripetono, a volte in modo quasi automatico. Ognuno le compie nella realtà che vive certo, magari attraverso proprie modalità, ma sempre all'interno di confini piuttosto definiti e chiari.
La continua ricerca dell'ordine, il mantenimento di un modello consolidato e approvato di società ha permesso, a molte persone, di scandire l'agenda settimanale con grande precisione, in alcuni casi anche quella mensile, per altri ancora perfino quella annuale. Poco spazio, o forse niente, viene lasciato al caso e all'imprevisto, scarsa è l'abitudine a modellare i comportamenti in base alle circostanze che si verificano, o che si possono presentare.
L'arrivo del Covid è come se avesse shakerato non tanto le nostre abitudini o i nostri comportamenti ma piuttosto i principi sui quali queste si fondano. E' come se e ci avesse scaraventato su un terreno sconosciuto, poco noto, ancora da identificare.
La società nella quale viviamo è stata impostata, per alcuni aspetti giustamente, su criteri di riferimento che sono in antitesi con l'idea stessa di precarietà, forse perché questa è per sua natura incerta, indefinita e le sue conseguenze sfuggono alla possibilità di essere controllate.
A pensarci bene sono quantomeno bizzarre la ragioni per le quali avvertiamo intensamente l'esigenza di organizzare al meglio la nostra società, quasi in maniera morbosa, probabilmente perché ci permettono di vivere con maggiori sicurezze, forse ci fanno sentire più tutelati, forse...
La vita però è per sua natura imprevedibile. Così come la morte. Entrambe, quando si manifestano, raramente chiedono il permesso.
E allora penso che se provassimo a considerare di più l'incertezza, l’imprevisto e l’imponderabile, se imparassimo a dialogare di più con la casualità o magari col destino, inserendo e considerando maggiormente questi elementi nei processi organizzativi attuali; se abituassimo la mente e i relativi comportamenti singoli e collettivi ad accettare le conseguenze di ciò che non possiamo controllare, compreso l’esito più estremo, la morte, renderebbe probabilmente migliore il tempo che attraversiamo e, forse, la nostra comunità. Avere maggior consapevolezza della precarietà del tempo penso che aiuterebbe a far emergere atteggiamenti migliori rispetto a quelli attuali, penso che farebbe apprezzare di più la vita in tutte le sue sfaccettature. E allora perché non provare a disegnarne una nella quale le persone, e le relative attività, siano in grado di adattarsi alle situazioni che mutano nel tentativo dotare tutti quanti noi di maggior consapevolezza e magari aumentare le nostre certezze?
In fondo Amazon, che è il simbolo mondiale di efficienza e velocità al punto che ogni anno consegna miliardi di oggetti ai propri clienti, che oltretutto ha reso Jeff Bezos l'uomo più ricco del pianeta, fonda sul principio di casualità la disposizione degli oggetti nei propri magazzini. Gli oggetti non sono disposti né in modo preciso né in modo ordinato. Questo perché, sui grandi numeri, aumenta la possibilità per un raccoglitore che va a prendere un oggetto di trovarne lì vicino un altro che gli può servire.