Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento inviatoci da una giovane supporter rossonera amareggiata per quanto accaduto e per il rischio di vedere scomparire la sua squadra del cuore dal calcio professionistico:
Oggi la Lucchese 1905 rischia di sparire. Di nuovo. Il fallimento è stato dichiarato. Il tempo è pochissimo. Entro il 6 giugno serve un miracolo: un acquirente, qualcuno che creda ancora nel valore di questa maglia, e soprattutto servono cuori che non smettano di battere.
Eppure, se sei stato al Porta Elisa il 17 maggio, quella parola – "fallimento" – sembrava non poter esistere. Lo stadio era un braciere. Un'onda rossonera che cantava, piangeva, sperava, abbracciava. Una città intera raccolta nel suo stadio, come un cuore che pompa identità.
E allora diciamolo chiaro, anche per chi sussurra "Ma che senso ha lottare per una squadra di Serie C?", o peggio: "Eh, ma non è mica la Serie A...".
No. Non lo è. E non deve esserlo.
Perché la Lucchese è un'altra cosa. È l'appartenenza. È la fede rossa e nera che non chiede la gloria, ma la verità. È quella maglia che si è sporcata di fango e di lacrime, quella curva che ha continuato a cantare anche quando il mondo sembrava crollare. È la città che si ritrova, si riconosce, si abbraccia.
Parlo da lucchese acquisita, da più di vent'anni. Lucca è diventata la mia casa. È qui che è nato mio figlio. È qui che ho conosciuto quell'uomo che mi ha fatto conoscere l'amore , con questa squadra, con questo stadio, con questi colori – che abbiamo insegnato, che si lotta per la propria città, che si crede anche quando non si vince, che si tifa anche quando fa male.
Perché non è il risultato a dirti chi sei. È l'amore che hai dentro. Quello che ti fa tornare ogni volta, che ti fa cantare a squarciagola anche con un nodo in gola. Lo sport divide, sì. Ma quando unisce... lo fa in un modo che solo chi ha pianto per una squadra può capire.
Questa squadra è le scarpette dei bambini, i cori dei nonni, i figli dei figli dei figli che sventolano la stessa bandiera, le mani sporche che si alzano per applaudire, le voci che si intrecciano nella sera di Lucca. È una piazza che non dimentica, che resiste.
E se oggi qualcuno ha il coraggio di dire "Non ne vale la pena", noi rispondiamo che è proprio questo il momento in cui vale di più.
Perché è adesso che si vede chi c'è davvero. È adesso che si decide cosa raccontare ai nostri figli: che si scappa o che si resta. Che si rinuncia o che si combatte.
E allora sì: che si parli di fallimento, ma con rispetto. Perché non si fallisce finché c'è qualcuno che crede. E noi ci crediamo ancora.
La Lucchese è dentro di noi. E continuerà a battere. Sempre.